Racconto di Ferragosto 2025 Missione Capo Nord: lo zio clandestino
Alessandro, mio nipote, ventunenne, aveva deciso di partire per Capo Nord con tre amici.
“Perché proprio Capo Nord?” gli chiesi, perplesso per la difficoltà del viaggio.
“Perché se non lo facciamo adesso, a cinquant’anni non ce la faremo più.”
Una coltellata. Io, cinquantaseienne, ancora scattante, con gambe solide, cosce muscolose e braccia toniche, come potevo tollerare un insulto del genere? Saltellai come un puglie dei pesi leggeri. Ero davvero in forma smagliante!
Così nacque il piano. Con la scusa di -dare un’occhiata alla macchina-, individuai un piccolo spiraglio, la mia occasione!
Poi, mi feci mandare -solo per curiosità- il programma del viaggio: tre settimane perfettamente organizzate, tappe, dormitori, campeggi, persino una preliminare -prova di carico dei bagagli-
Il giorno della partenza mi appostai. E, quando ormai pronti, i ragazzi si rilassarono per un attimo, approfittai della loro distrazione ed entrai nel bagagliaio.
Non fu facile: ore di sballottolamenti, ma la sorpresa valeva la pena.
Dopo cinque ore di viaggio, alla prima sosta, balzai fuori.
Le loro facce! Contratte in una smorfia che qualcuno avrebbe scambiato per rabbia, ma che io riconobbi come pura felicità.
“Zio, come ci sei entrato lì dentro? E le nostre borse?”
Confessai candidamente di averne buttata via qualcuna.
“Non vi preoccupate! Ai miei tempi si partiva con due magliette e un costume!”
“Zio…, noi andiamo a Capo Nord. Fa freddo, altro che costume…” Alessandro era viola, certo non per il freddo ma per l’entusiasmo di vedermi.
Rivendicai subito il posto accanto al guidatore, visto il mio mal d’auto, facendo sloggiare quello dei tre che, con un sorteggio, aveva vinto il posto migliore.
Poi estrassi dalla tasca una cartina cartacea e, con aria solenne, proibii l’uso del GPS.
“Ai nostri tempi bastavano le cartine. Il difficile era solo richiuderle! E poi queste strade sono tutte uguali: montagna a sinistra, mare a destra, non ci si può sbagliare!”
“Zio, il mare non c’è per chilometri…”
Ma, ancora storditi dalla -gioia- di avermi con loro, acconsentirono.
Tre ore dopo ci ritrovammo in un villaggio di pescatori, circondati da uomini con stivali fino al ginocchio che ci offrirono aringhe sotto sale. I ragazzi mi guardavano come si guarda un pirata che ha appena affondato la nave. Il pirata, ovviamente, concesse il ritorno ai cellulari.
Durante una sosta li provocai, “Dobbiamo dimostrare che il fisico regge!” Li trascinai su per un promontorio per ammirare il panorama. Dopo dieci minuti, ero a terra, ansimante, cercando ossigeno a quattro zampe e con il cuore che faceva le capriole.
“Zio, te l’avevamo detto che era impegnativo…”
“Macché! È solo un piccolo affanno da riscaldamento!” ribattei, mentre perdevamo il traghetto per le isole Lofoten.
Qualche giorno dopo, arrivato il freddo più intenso, Alessandro si rese conto che i suoi vestiti termici erano spariti.
“Zio… non è che li hai buttati tu, quando ti sei infilato nel portabagagli?”
Abbassai lo sguardo.
Per farmi perdonare gli comprai un maglione acquistato in un negozio di souvenir, con un cervo enorme sorridente e fosforescente. Alessandro cercò in ogni modo di coprire quell’orrendo cervo quando faceva le foto da inviare a casa.
Ad un controllo, non sapevo esistessero ancora le frontiere, per alleggerire l’atmosfera dissi a una guardia.
“Ah-ah! Guardi, guardia, in realtà siamo in cinque: c’è pure un clandestino nel bagagliaio!”
La guardia non rise. Ci fece scendere tutti, controllò ogni borsa, e ci tenne un’ora sotto interrogatorio, smontando il veicolo pezzo per pezzo.
I ragazzi mi fissavano muti. Io mormorai: “L’ironia nordica non esiste più…”
In un campeggio, decisi di mostrare la superiorità della cucina italiana. Pasta per tutti! Ma confusi la bottiglia dell’acqua con quella dell’acquavite locale e gli spaghetti iniziarono a flambare in padella. I ragazzi guardavano il fuoco salire.
“Zio, ma che stai facendo?!”
“Rivisitazione moderna: pasta flambé alla scandinava.”
Andammo a dormire a stomaco vuoto, avvolti da vapori alcolici di acquavite.
Ogni tappa era una catastrofe. Tende montate al contrario, torce scariche perché lasciate accese per testare la batteria, scarponi scambiati con pattini da ghiaccio con un rigattiere locale. Io ridevo. Loro no.
Tre settimane dopo, a Roma, al momento dei saluti, mi parve giusto tentare un bilancio del viaggio.
“Ammettetelo,” dissi, “senza di me, non vi sareste divertiti. Con me avete vissuto una vera avventura!”
Alessandro, esausto per le mie trovate, mi fissò.
“Zio, una cosa non ho capito bene. Come hai fatto ad entrare nel bagagliaio.”
Glielo mostrai: mi raggomitolai, e entrai di nuovo.
“Visto? E’ questione di tecnica. I giovani devono imparare dai più grandi!” Dissi trionfante.
-Toc-! Il bagagliaio si richiuse.
Ora sono qui dentro, urlo di aprire, batto i pugni, ma sento solo un parlottare concitato. Dal foro di areazione vedo i loro volti…, poi un tappo che chiude il buco.
Arghhhhh
FINE
Giovanni Lupi
5.9.25
Nota Postuma: lasciate che i giovani facciano le loro esperienze. Voi non siete i vostri ricordi, ma quello che siete oggi: una persona nuova. Ogni giorno.